Pietro Ghizzardi e La Pittura Naif

 

Pietro Ghizzardi proviene da un’umile famiglia di contadini, mantovano di origine nasce alla Corte Pavesina di San Pietro di Viadana nel 1906, nel pieno dei lavori agricoli.

La famiglia Ghizzardi si sposta in poderi posti nelle province di Mantova, Reggio Emilia, Cremona, in un nomadismo scandito dal rinnovo dei patti di mezzadria; nel 1933 perde il padre e nel 1947 muore anche il fratello e Pietro rimane con la madre che avrà sempre un atteggiamento molto protettivo verso il figlio al punto di impedirgli di avere una vita affettiva autonoma.

Pietro lavora duramente nei campi, perduto dietro alla meraviglia per la natura e all’incanto di una interiorità che sognava la bellezza. Irregolare la frequenza delle scuole, per cui ha ripetuto sia la prima che la seconda elementare, non completando la terza.

Nel 1951, durante la grande inondazione del Po, Pietro rimane isolato nella casa circondata dalle acque con la madre. È allora che da autodidatta incomincia – riprendendo una passione giovanile che era stata a lungo frustrata dai familiari – a dipingere cartoni con immagini di donne che sognava, di attrici di cui ruba i volti dai manifesti cinematografici e dai rotocalchi per attaccarli ad uso di collage minimali. Questo mondo erotico si arricchisce con le immagini dei santi, dei personaggi della storia presi da libri scolastici, di figure più o meno leggendarie.

Un tema ricorrente nella pittura di Ghizzardi è quello dell’autoritratto che viene documentando, in un diario personale, l’intera vita dell’artista dalla giovinezza alla vecchiaia, non è il risultato dello scandirsi dei giorni, ma piuttosto il risultato del ricordo, del modo intimo e segreto di sentirsi in rapporto con se stesso e con il proprio corpo, per cui ritratti giovanili sono opera della piena maturità o della senilità, in confusione temporale e di immagini, decisamente significativa, come lo fu quella di Ligabue che nei suoi autoritratti invece segnava giorni ed umore con una scansione che corrispondeva al vivere e al suo misurarsi con il mondo.

Usa carbone, fuliggine, tizzoni e colori naturali, ricavati con misture di bacche colorate, terre ed erbe. La necessità di usare prodotti naturali fece parte della sua concezione di vita che ha anticipato in lui, mite, dolce e quieto, la consapevolezza di temi di rispetto per l’ambiente e la natura, che si ritrovano anche nei suoi scritti, rispetto all’ambientalismo e all’ecologismo posteriori al suo modo di rapportarsi con le cose.

Dal 1957 si dedica completamente alla pittura. Del 1961 è il primo riconoscimento a Guastalla e una sua opera vince una medaglia d’oro.
Nel 1968 riceve la medaglia d’oro del Presidente della Repubblica al Premio Nazionale di Arti Naïves di Luzzara, fondato da Cesare Zavattini.
Nel 1969 dipinge casa Falugi, già Soliani – Pini, villa in Boretto dove fu ospitato per tutta l’estate.
Nel 1977 vince il Premio letterario Viareggio con l’opera prima “Mi richordo anchora”, edita da Einaudi, a cura di Giovanni Negri e Gustavo Marchesi. Nel 1980 Vanni Scheiwiller pubblica “A Lilla Quattro pietre in mortalate”, a cura di Giovanni Negri e Gustavo Marchesi, un lungo testo dedicato ad una delle sue cagnette morta travolta da un camion, che diventa un’ampia e drammatica invettiva, contro la meccanizzazione e il progresso insensato.
Il personaggio Ghizzardi attira diversi registi cinematografici che gli dedicano alcuni documentari: del 1963 è un film documento di Michele Gandin dal titolo “Ghizzardi pittore contadino” per l’Istituto Luce Cinecittà – Roma.
Nel 1978 per il ciclo “Le memorie e gli anni”, a cura di Guido Levi la prima rete RAI TV mise in onda “Mi richordo anchora. Conversazione con Pietro Ghizzardi” per la regia di G. Vittorio Baldi.
Muore a Boretto, Reggio Emilia, il 7 dicembre 1986. La casa nella quale visse gli ultimi anni è divenuta dal 1992, con la pubblicazione del primo quaderno, a cura di Marzio Dall’Acqua, che conteneva la biografia del pittore, una Casa museo intitolata, come il pittore aveva voluto “al Belvedere”.

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